Vittoria Piscitelli - U.G.L.Y. dal 6 al 13 dicembre 2013
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- Categoria: Eventi
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- Ilaria Sabatino
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Stai perdendo te stesso (Vittoria Piscitelli)
Sto perdendo me stessa. Sto perdendo me stessa da quando ero una bambina e rubavo le riviste di moda di mia madre. Sto perdendo me stessa ancora oggi, inesorabilmente. Sono in carne ed ossa una persona. Dunque cosa sono, ma sarebbe meglio forse dire chi sono, quelle pagine patinate di pochi centimetri che incontro in quella seducente, ammaliante e indispensabile Bibbia dell’estetica contemporanea che è Vogue? ... [...] Così ho iniziato a distruggere il resto per trovare me. Ma più distruggevo più creavo. Strati e strati di carta e vernice coprivano il volto di Natalie Portman proponendo le sembianze di un essere altro, oltre me e oltre l’attrice … […] Ho cercato, cercato e cercato. Oltre la bellezza cosa ho trovato? U.G.L.Y. Ugly che tradotto dall’inglese potrebbe essere adirato, brutto, cattivo, irritabile, laido, litigioso, minaccioso, pericoloso, ripugnante, sgradevole, turpe. Ho allontanato la ricerca di una bellezza rassicurante e sottile per entrare in contatto con quei mostri che mai vorreste incontrare e per loro ho iniziato a provare un bisogno empatico poiché, con la loro ridicola spiacevolezza, esprimevano la frustrazione tutta contemporanea del sentirsi inappropriati, indesiderati in un contesto dove, forse, abbiamo smarrito la capacità di emozionarci per la bellezza … […]. Intendo portarvi per mano alla scoperta di questo universo parallelo in cui decine di volti trasmutati si propongono a voi in tutta la loro inquietante fissità, la stessa fissità di quelle donne splendide che indossano seta e oro nelle riviste che comprate. E la loro moltitudine ci distrarrà dalla loro individualità … […] Perché se è vero che U.G.L.Y nasce da una vicenda tutta autobiografica della sottoscritta è anche vero che U.G.L.Y rappresenta l’invito ad una presa di coscienza sul vostro rapporto con la bellezza presunta tale. U.G.L.Y. è qui desiderio di redenzione da noi stessi e quello che sognavamo di essere e non saremo mai.
Vittoria Piscitelli. Miti e Mete (Federica De Rosa)
Per Vittoria Piscitelli creare, fare, lavorare con il linguaggio dell’arte - sia esso musica, design, pittura, collage, moda - è azione necessaria per scandagliare la realtà, ma soprattutto per prendere contatto con se stessa e con le sue ossessioni. Vittoria ha ben chiaro il suo terreno di ricerca, come ha ben chiaro il terreno dove presentarsi. Ama smisuratamente il mondo britannico: “Musica, arte, letteratura, design, pubblicità, tutto, basta che sia inglese, che sia anglosassone!”. Ama con passione (gioia/tormento) anche la moda. Ed è in questi luoghi fisici e ideali che viaggia e sperimenta. Non è un caso che le sue prime mostre si siano tenute a Londra e a Milano. Oggi è a Napoli; ma quale Napoli? E in quale momento della vita cittadina, se non quello del ‘patinato’ natalizio? … […] Forti di tali rimandi (o meglio miti) visibili e invisibili, espliciti o censurati, voluti o imprevedibili, le opere-collage di Vittoria arrivano a noi cariche di bizzarrie dissacranti; sono a volte grottesche, pulite, sporche, eleganti, astratte, caricaturali, volutamente ricche di textures. Vittoria vorrebbe racchiudere il risultato finale in ciò che definiremmo UGLY. Ma non è detto sia così. Eppure è giusto che sia così per lei. Se consideriamo, infatti, che queste opere sono un’analisi prima di tutto sul sé, sull’essere donna, o meglio sul suo essere donna tra le donne, capiamo subito che i suoi collage sono popolati da immagini oniriche, suggestioni reali quanto surreali, evocative di un passato (l’infanzia), quanto fortemente attuali, perché ancora pulsanti nel suo oggi. Sono immagini che incontra ovunque: in casa e per strada, nella vita privata e nella vita pubblica. Ma non tutti le vedono e guardano quanto e come lei. Sono immagini che da poco Vittoria ritiene dolenti, ma non più per se stessa. Quelle immagini non danno sconcerto a chi le osserva, le ‘dolenti’ sono chiaramente le icone trasfigurate … […] Ma entriamo nei sui lavori, esposti essi stessi come un unico collage o, in pochi casi, volutamente isolati. Incontriamo, si è detto, solo corpi di donna presi il più delle volte nella loro interezza e spezzettati (pochissimi gli uomini, sempre brutti e buffi, che compaiono); si tratta, dunque, di pezzi di corpi a cui dare nuova forma. Talvolta si tratta di lacerti, martoriate metonimie di un’anima ancor prima che di un corpo. Accanto alle moltissime modelle, qualche attrice (compare ad esempio Grace Kelly); alcune di queste donne hanno un nome, altre no. E sono forse queste ultime, quelle sulle quali Vittoria decide di lavorare di più …[…] Non può non essere in questa sua analisi una ricerca di empatia, la necessità di rintracciare una umanità persa per ritrovare un equilibrio che forse può ricomporsi attraverso il nostro sguardo, ora sorridente, ora incuriosito, ora straniato, ora disgustato, ma sempre, quasi per paradosso, ricondotto in territori meno disumanizzati di quelli raffigurati nei materiali di partenza, al bianco patinato dei quali Vittoria contrappone più familiari e realistiche pennellate di bianco matto e ruvido. Con i suoi collage Vittoria Piscitelli dà vita a nuovi demoni che non pesano più sulla coscienza e nella coscienza collettiva dell’universo femminile al quale si rivolge. Ma soprattutto non pesano più su di lei. Del resto, al di là dell’ironia, al di là di un tentato UGLY, i suoi ritagli, per quanto spesso ironici, non evitano di mostrare sentimenti quali l’ossessività e l’invidia (così il titolo di alcuni lavori)… […]. Prima di ogni cosa, le sue opere vogliono essere appunti di un viaggio, attimi di un racconto, scorci di un percorso autobiografico nel quale mettere ordine, al quale dare una misura. Ad arginare la caducità dei corpi, dunque, la forma.