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La fotografia di Libero De Cunzo, scatti d’autore che raccontano paesaggi e denunciano abusi

 
L’occhio di Leone, ideato dall’artista Giuseppe Leone, è un osservatorio sull’arte visiva che, attraverso gli scritti di critici ed operatori culturali, vuole offrire una lettura di quel che accade nel mondo dell’arte avanzando proposte e svolgendo indagini e analisi di rilievo nazionale e internazionale.

di Ilaria Sabatino

La fotografia è un linguaggio multiforme sempre da scoprire e da saper leggere, un forte legame non solo con l’arte, ma anche con la letteratura. Con il fotografo Libero De Cunzo entriamo in un altro ramo della fotografia, la fotografia di paesaggio. Il raccontare attraverso la foto ciò che ci circonda, le bellezze della nostra terra e le emozioni che essa trasmette. Lo sguardo del fotografo va anche oltre, si sofferma sui danni e gli abusi che vengono fatti sul nostro territorio, trasformandosi anche in denuncia e rispetto di ciò che abbiamo. Nelle foto di De Cunzo possiamo ammirare e cogliere tutti questi pensieri, come un racconto da leggere e rileggere, lui ci parla di ciò che i suoi occhi hanno rapito e li fa conoscere sotto una nuova chiave di lettura, ma rispettando la veridicità dell’oggetto, il paesaggio.
Nella mostra “Procida. Il giardino segreto”, Libero De Cunzo propone 39 fotografie, realizzate tra il 2007 e il 2008 e pubblicate nel 2009. Fotografie dedicate principalmente ai giardini che forgiano il territorio procidano, come una tavolozza di colori, che va dal giallo dei limoni alla varietà del verde che ritaglia spicchi di cielo e di mare. Un’isola circondata dal mare, ma che racchiude nella sua natura il suo essere, la sua tradizione di isola della terra, dei campi, dei contadini. “Fotografare è immergersi nella vita, cercando il fascino dell’abitare la terra, leggendo e scrivendo con la luce per essere Paesaggio”, con queste parole Libero De Cunzo esprime il suo modo di vedere e riportare la realtà.

Da anni attraverso le sue fotografie celebra l’isola di Procida. Cosa ci racconta in questa mostra?
Questa mostra è una ri-edizione di un lavoro fatto con la scrittrice e costumista Elisabetta Montaldo, già premio Davide di Donatello. Lavoro fatto nel 2009 e pubblicato per la Clean, era un’operazione artistica, che voleva essere ed è un grido di allarme sul pericolo di devastazione del territorio. Fatto per la salvaguardia del territorio, della cultura e della tradizione di Procida. Perché i giardini erano minacciati dalla speculazione edilizia e dalle intenzioni di fare parcheggi per auto a tutto spiano. Da quel lavoro ho fatto una nuova sequenza, un nuovo racconto visivo per sostenere la candidatura di Procida, sollecitato dal FRaC il fondo Regionale per l’arte contemporanea. Senza saperlo la cosa è riuscita particolarmente bene e coerente al motto la “Cultura non Isola”, ossia la ragione e il sentimento che sottendono le singole foto e il lavoro nel suo insieme vanno al di là della rappresentazione, sono una presentazione di concetti universali.

Cos’é cambiato nel modo di fare fotografia?
Il mio modo di fotografare si è affinato, soprattutto concettualmente, ritengo fondamentale un legame letteratura/arte e letteratura/fotografia. In generale invece vedo, sì un maggiore interesse per le ricerche attraverso la fotografia, ma non un innalzamento della qualità del vedere, del saper vedere. Questo maggiore interesse spesso è caratterizzato da banalizzazioni, da atteggiamenti presuntuosi e da inutili tecnicismi.
Il mio cammino nell’arte con la fotografia ha avuto come fondamentali premesse due momenti: la frequentazione a metà degli anni ’70 della galleria di Lucio Amelio, la Modern Art Agency, in particolare una presenza ed un incontro con Joseph Beuys, il titolo “La rivoluzione siamo noi”. Già a metà degli anni Sessanta, Joseph Beuys manifesta la sua concezione di creatività con la frase Ogni uomo è un artista, secondo lui l’atto della creatività e quello di libertà coincidono. E nello stesso periodo fui folgorato dalla visione della mostra di Paul Strand alla Calcografia Nazionale, se non ricordo male curata da Marina Miraglia. Certo sono grato delle occasioni che la vita, anche grazie ai miei genitori, mi ha offerto in termini di esperienze, viaggio e frequentazioni di luoghi e persone. Incontri determinanti che nel tempo hanno contribuito alle mie scelte di percorso quelli con Mimmo Jodice, Franco Fontana ed in particolare Giovanni Chiaramonte ma anche al di là dell’ambito dei fotografi, sono grato, tra tanti, in particolare a Luigi Cosenza, LUCA (Luigi Castellano), Sergio Civita, Georges Vallet , Michele Sovente e Lucio Amelio. Certo è stato solo dopo gli anni di formazione che ho più o meno definito la consapevolezza di aderire all’arte come percorso etico, come missione, come ricerca e riproposizione di un senso possibile dell’essere. Di Strand, oltre al suo sguardo potente, come evidenziava Stieglitz, mi ha fortemente convinto la sua affermazione che riguarda l’inutilità di andare chissà dove per realizzare buone ed efficaci immagini, basta muoversi a “pochi passi” da casa. L’essenziale, come diceva sempre Alfred Stieglitz, è avere gli occhi per vedere! Dopo studi artistici ed alla facoltà di architettura sono stato reporter free lance, con qualche soddisfazione. Ho cominciato nel ’76 ma è alla fine degli anni ’80 che la mia dimensione del fotografare si è delineata con maggiore consapevolezza. Dopo le esperienze e le proposte fatte con altri giovani fotografi napoletani, proponendo campagne fotografiche su diversi ambiti del territorio con la costituzione di Archivi fotografici dell’ambiente, ho riconosciuto la forza e la missione di quella corrente della fotografia di Paesaggio.

Ora che Procida è diventata Capitale italiana della Cultura per il 2022. Quale scatto la rappresenterebbe?
Certo andrei oltre la veduta della Corricella, bellissima con i suoi colori, ma abusata per celebrare “Il Postino” dell’amatissimo Massimo Troisi. Io proporrei un’immagine, che ho bene in mente! L’orizzonte visto da un interno di un’abitazione, inquadrato in una porta finestra e con l’evidenza di una balaustra in muratura, che fa da fondo di partenza come orizzonte finito verso l’infinito. Si è vero è una mia fotografia, fatta dalla casa dove ho abitato per sette anni d’estate.

Quale foto potrebbe sottolineare il periodo che stiamo vivendo?
Proporrei la foto del nostro golfo, che è il centro mitico e mistico del mondo, fatta il primo gennaio. C’era una leggera ed inquietante nebbia di mare, ma sopra si stagliava il nostro Vesuvio, emblema di Eros e Thanatos. Un’altra immagine che mi viene in mente, proprio per definire il nostro tragico momento, non è una fotografia, ma è uno dei quadri fantastici e terrificanti di Hieronymus Bosch.