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Mario Laporta, il fotogiornalismo e l’importanza degli archivi

 
in foto Mario Laporta Ph. Marco Longari

Ideato dall’artista Giuseppe Leone, è un osservatorio sull’arte visiva che, attraverso gli scritti di critici ed operatori culturali, vuole offrire una lettura di quel che accade nel mondo dell’arte avanzando proposte e svolgendo indagini e analisi di rilievo nazionale e internazionale.

di Ilaria Sabatino

Iniziamo con analizzare la parola Fotogiornalismo precisandone il significato: fare informazione, cioè raccogliere, valutare e diffondere le notizie favorendo come mezzo espressivo la fotografia.
In Italia il fotoreporter non ha pieno riconoscimento come fotogiornalista ed è indubbio che la professione stia modificandosi in modo efficace. Sicuramente il giornalista dell’immagine o telereporter continua a stare là dove avvengono i fatti più drammatici, coinvolgenti e interessanti per il pubblico. È un testimone diretto delle notizie che dà, che trasmette attraverso le sue fotografie, Mario Laporta è un fotoreporter, uno di quelli che ha fatto la storia del reportage napoletano. Fondatore dell’Agenzia foto giornalistica Controluce ed oggi socio dell’Associazione Kontrolab, che è uno dei maggiori punti di riferimento a Napoli e nel Meridione d’Italia, per testate giornalistiche nazionali ed internazionali.
Attualmente docente di fotogiornalismo all’Accademia di Belle Arti di Napoli, ai cui ragazzi insegna di essere sempre curiosi e coerenti nei loro lavori. La fotografia non deve essere solo un mezzo di trasmissione, ma deve far riflettere chi la guarda, deve essere una testimonianza! Questo ci raccontano le fotografie e i reportage di Mario Laporta, un fotografo che ha saputo descrivere in modo univoco fatti di guerra, cronache, backstage di mostre, le tradizioni popolari etc. Oggi parleremo con lui non solo dell’importanza del fotogiornalismo e di come trasmetterlo ai giovani, ma anche della funzione primaria degli archivi fotografici del sud.

Fondatore nel 1991 dell’agenzia Controluce e oggi socio fondatore di Kontrolab Service. Cos’è per te il fotogiornalismo?
È un sacro fuoco che mi ha assalito negli anni dell’adolescenza, guardando in televisione e sui giornali le foto e i filmati della guerra del Vietnam, dei grandi conflitti sociali, delle cronache degli avvenimenti dei decenni ’60 e ’70, l’assassinio di Bob Kennedy, il corpo di Che Guevara, le rivolte sudamericane e i colpi di stato, poi le Olimpiadi, i disastri ambientali, i terremoti e tutte le notizie internazionali che in quegli anni i maestri del giornalismo e del fotogiornalismo ci portavano in casa e che io, dal 1973 già assistente fotografo di cerimonie, desideravo di poter seguire e documentare per farle conoscere e farle leggere a coloro che erano lontani e aspettavano le cronache dai fronti e dal centro della notizia.
Fotogiornalismo è curiosità, oggettività, coerenza e affidabilità che deve coniugarsi con la costanza e l’assoluta abnegazione per la notizia, che comporta la valigia sempre pronta per partire alla sua ricerca e quindi l’annullamento di programmi personali preorganizzati. Se si dovesse essere pronti per 15 giorni di vacanze su di una spiaggia, pronti con la valigia sul nastro check-in all’aeroporto, e all’improvviso, arrivasse una chiamata per una eruzione improvvisa di un vulcano, sicuramente il check-in si sposterebbe e quella valigia si imbarcherebbe su di un altro aereo, quello diretto nelle immediate vicinanze del vulcano, tanto la spiaggia sarebbe sempre li ad aspettare…il vulcano no. Come vedi, fotogiornalismo è sacrificio, ma nello stesso tempo è una delle professioni più belle del mondo, una di quelle che ti da l’opportunità di incontrare persone meravigliose e di avere esperienze difficilmente realizzabili con altre attività, sono stato sparato su aerei da una portaerei, ho volato in elicotteri, mongolfiere, sono stato su sottomarini, mi sono seduto in una Formula1 ho visto tesori inestimabili e ho conosciuto la natura più selvaggia che si è espressa in tutta la sua potenza con eruzioni, valanghe di fango e tramonti meravigliosi. È una professione totalizzante.

Docente all’Accademia di Belle Arti di Napoli. Cosa diresti ai giovani che si avvicinano al fotogiornalismo?
Praticatelo, sempre, siate curiosi, siate coerenti e fate si che le vostre foto facciano riflettere. Siate disposti a dare molto per una professione che vi restituirà tutto quello che sacrificherete per essa. Tanti dicono che il fotogiornalismo è morto, non è vero, il fotogiornalismo siete voi, con la vostra curiosità e con la vostra voglia di capire e documentare la notizia, l’avvenimento, la storia. Quella che è morta, in alcuni paesi come l’Italia, è l’editoria fotogiornalistica, non certo il fotogiornalismo e i fotogiornalisti. Fin quando essi ci saranno, allora si potrà sempre sperare che l’editoria fotogiornalistica in Italia rinasca, come pian piano stiamo vedendo in questi ultimi anni, dove si rivede crescere, almeno sul web, la giusta attenzione che merita.

Autore di molte fotografie, che hanno segnato passaggi importanti nella tua vita. Quali ricordi in modo particolare?
Tutte, non ho fotografie a cui sono più legato, sono a tutte particolarmente legato, hanno segnato i momenti di tutta la mia vita, camminano tutte con me. Dalle prime, sui circuiti di Formula1 passando per Berlino, dove mi trovavo il giorno della caduta del Muro, alla nave Vlora, che arrivò a Bari con 12000 Albanesi che scappavano dalla loro terra, poi il Nicaragua, il Medio Oriente, la Palestina, Israele, le portaerei nell’Adriatico durante la guerra di Bosnia, il Kosovo, l’Afghanistan, l’Iraq, e poi i flussi migratori, l’Etna, lo Stromboli, Sarno, Scaletta Zanclea, il fuoco che distrusse il Gargano, L’Aquila, Amatrice, ma anche i meravigliosi centenari di Acciaroli e del Cilento, le tradizioni popolari del meridione italiano gli archivi storici e i Musei di Napoli e del Sud Italia, gli scavi archeologici, gli artisti e le artiste che ho fotografato insieme alle loro opere e tutto il bello che questa società ancora ci regala e ci fa documentare.

Testimone attraverso le foto di periodi che hanno sconvolto il vivere quotidiano delle persone. Cosa pensi del periodo che stiamo vivendo?
E’ uno dei più incredibili, stiamo fronteggiando una minaccia che non si vede, imprigionati dal minuscolo, annichiliti da ciò che è una delle più infinitesimali forme presenti sul pianeta, questo ci sconvolge, ci ha cambiati e credo non certo in meglio, dopo un primo momento solidale e unitario, il tempo ha fatto scattare le regole della sopravvivenza umana, che è la peggiore del mondo animale, perché è quella basata non sullo spirito di gruppo e di salvaguardia della specie, ma si basa sulla sopraffazione dell’uno sull’altro e dell’annientamento del soggetto più debole, non perché sia debole e quindi non funzionale alla specie, ma perché è più semplice da abbattere e depredare. Molti lo hanno accomunato ai periodi di guerra, con il lessico militare e trovando analogie nel combattimento del virus, ma credo sia la più grande mistificazione possibile. Chi afferma questo seduto davanti ad una tastiera di un computer o steso su di un divano, meriterebbe di essere mandato in una zona di guerra vera. Si cerca e si giustifica questo paragone e questo linguaggio proprio per dare senso alle nefandezze che cominciano a registrarsi e confermare quelle nefandezze di cui ho parlato prima, prevaricazioni, furberie, prepotenze, disonestà. Siamo perfettamente in tempo per fermare questi comportamenti, dobbiamo solo ricordare che oltre alle vaccinazioni cui ci stiamo sottoponendo, abbiamo le vaccinazioni di buon senso che ci accompagneranno sempre, per fortuna.

Cosa mi puoi dire riguardo gli archivi fotografici al Sud?
Sottostimati, poco utilizzati, poco gratificati, poco premiati, poco storicizzati, poco riconosciuti. Gli archivi del sud conservano e detengono nelle loro immagini una parte importantissima della storia d’Italia. Antichi e di pregio, non sono stai mai valorizzati nel loro vero merito, tra i quali, quello di aver documentato una realtà rurale, contadina e di tradizioni popolari che in altre parti d’Italia non era presente. Questo gap spero si colmi al più presto. Molto si sta facendo per organizzare una riflessione che crei delle strutture che raccolgano e preparino alla sistemazione questa miniera dalla quale si potrà ancora più precisamente capire il passato per non perderlo e per non perdere le basi per i tempi a venire. Costruire questi momenti credo sia il compito che ci vedrà impegnati noi tutti e su questo credo che sia giusto ci si concentri per il prossimo futuro.

Napoli Global Forum, 17 Marzo 2001, manifestazione anti-global, ph Mario Laporta

in foto portaerei americane durante l’operazione No Flight Zone nell’Adriatico, ph Mario Laporta

in foto Ayrton Senna ph Mario Laporta

in foto Afghan men collect coal from a truck at a Red Cross distribution in the capital Kabul, February 11, 2002. The Red Cross handed out coal and blankets to see the poorest in the city through the harsh winter.
REUTERS/Mario Laporta

in foto A Berlino ph Mario Laporta